la copertina del numero di Communio su cui apparve questo articolo

Il valore cristiano del mondo

in Pierre Teilhard de Chardin

Pubblicato su Communio, n. 83-84 [1985], pp. 44-51. I sottotitoli sono aggiunte successive, per il web.

[introduzione]

La funzione del laico cristiano è indubbiamente connessa con il valore che si attribuisce al «mondo», ove con questo termine — di per sé polivalente — si intende il mondo, naturale ed umano, nella sua realtà ontologica. Si scatta quindi, in questa accezione, il significato morale e peggiorativo di «mondo», come quell’insieme di pensieri, abitudini, sottintesi, atteggiamenti ed azioni personali e collettive in cui predomina la Menzogna; è, questo, il «mondo» per il quale Cristo non ha pregato nell’Ultima Cena, e il cui signore è l'Angelo delle Tenebre[1].

Il mondo dunque nella sua realtà ontologica può essere diversamente valutato: ad esempio nella civiltà medioevale esso era indubbiamente meno stimato che nell’epoca moderna e, a maggior ragione, contemporanea. Da simbolo di Altro da sé esso ha gradatamente acquistato, per la cultura occidentale, una consistenza e un valore autonomi, sempre più slegato da un significato religioso e rapportato invece alle esigenze della prassi umana.

Non è il caso di soffermarsi su questi giudizi, data la loro ovvietà, come pure sul fatto che non è un caso che il ruolo attribuito dalla teologia e dalla Chiesa al laicato è cresciuto parallelamente all’aumentata importanza del mondo.

L'ambito del laico infatti è per eccellenza il mondo, la realtà profana, laddove l’ecclesiastico, in quanto tale, deve piuttosto occuparsi di p. 44 una realtà non circoscritta al mondo, e che non ha nel mondo il proprio fondamento: il Mistero di Cristo e della Chiesa.

Nel presente articolo vogliamo presentare, senza alcuna pretesa di completezza, alcuni tratti fondamentali del pensiero di Pierre Teilhard de Chardin riguardanti il tema del«mondo».

Ci avvaliamo, in tale esposizione, della interpretazione, che riteniamo particolarmente autorevole, di uno dei maggiori, e più sicuramente ortodossi, teologi cattolici del nostro tempo, Henri de Lubac, che di Teilhard fu confratello, nella Compagnia di Gesù, ed amico.

[il contesto: una ingiusta sottostima del “mondo”]

È innegabile che una parte notevole, nell’allontanamento della civiltà moderna dal Cristianesimo,l’ha avuta la convinzione di una insanabile alternativa tra Dio e il mondo, tra una religiosità unilateralmente «verticale» e una «terrestrità» puramente profana e dissacrata.

In questa prospettiva il mondo non aveva per la cultura cristiana che il valore di un luogo in cui «esercitarsi» in vista dell’eternità, una occasione estrinseca per accrescere il proprio merito ed aumentare così la propria beatitudine nella Patria celeste.

Manca in altri termini una cultura cristiana del mondo nel suo valore specifico, non più come mera «valle di lacrime», ostacolo da superare mirando al cielo, officina dolorosa in cui sono forgiate le anime destinate alla Vita eterna. E questo proprio mentre la cultura laica, egemone nei secoli postmedioevali, veniva sempre più esaltando la consistenza autonoma del mondo.

Teilhard de Chardin si ripropose appunto di colmare una tale lacuna, mostrando come, né dal punto di vista della Religione rivelata, né da quello della scienza, esistesse una reale antitesi tra la Terra e il Cielo, e quindi tra valori autenticamente umani e valori autenticamente religiosi.«Un tempo sembravano non esistere che due posizioni geometricamente possibili per l’uomo: amare il Cielo o amare la Terra. Ma ecco che nello spazio nuovo, una terza via si scopre: andare al Cielo attraverso la Terra»[2].

[possibili equivoci della proposta di Teilhard]

È innegabile che, soprattutto negli anni Sessanta, molti (cristiani e non) si siano rifatti al pensiero di Teilhard in senso eterodosso, interpretandolo come un ottimismo immanentista e storicista, non molto distante dal marxismo. Come non è negabile che, nella produzione del gesuita francese, vi p. 45 siano limiti, ingenuità, un linguaggio spesso bizzarro e non sempre univoco, poca attenzione a un serrato e critico confronto con la teologia delle scuole [3].

De Lubac scrisse varie opere per mostrare come la presunta eterodossia del confratello fosse soltanto apparente, a motivo del suo lessico originale, e non intaccasse la sostanza del suo pensiero, pienamente ortodossa, benché su alcuni punti discutibile [4].

[il nocciolo autentico del pensiero di Teilhard]

Il pensiero di Teilhard potrebbe compendiarsi così: non vi è alcuna reale incompatibilità tra l’immagine di un mondo in evoluzione e il Cristianesimo; anzi essa si attaglia al Dato rivelato meglio della antica immagine di un mondo fisso ed immobile.

Ma vediamo con ordine attraverso quali tappe egli giunga a tale giudizio. Se i dati della scienza lo attestano, come di fatto è, riconosciamo pure, sostiene Teilhard, che il mondo come noi lo vediamo oggi non è quello che uscì dalle mani di Dio, all’istante della creazione: vi è stata una evoluzione.

Per designarne i vari stadi il gesuita francese coniò dei neologismi appositi: la cosmogenesi, o processo di formazione della struttura cosmica (galassie, sistema solare, etc.); la biogenesi, cioè il processo che preparò la comparsa della vita, quei 4-5 miliardi di anni in cui la terra andò assumendo la configurazione geografica e ambientale, che avrebbe consentito alla vita organica di svilupparsi, e infine la noogenesi.

Quest'ultimo termine designa il processo di evoluzione della vita, con la comparsa di viventi sempre più complessi e perfezionati, fino alla p. 46 apparizione dei mammiferi e di quel «philum», da cui doveva sorgere la vita intelligente, l’uomo.

Non bisogna aver paura di riconoscere questa continuità; che è poi, osserviamo noi, riconoscere la consistenza specifica della natura creata e delle cause seconde (per dirla con S. Tommaso), la loro non-inutilità, anzi la loro necessità; dentro, s'intende, il libero Disegno di Dio. Pena il cadere in un, poco credibile, occasionalismo.

Il problema è invece non trascurare perciò, accanto e in dialettica con la continuità, il polo della discontinuità, come Teilhard è stato accusato di fare. In realtà,spiega de Lubac, lo scienziato-teologo affermava l’esistenza di autentici salti, dislivelli qualitativi, sia tra l’evoluzione dell’inorganico e la nascita della vita, sia tra l’evoluzione di questa e la comparsa dell’uomo.

Per Teilhard l’uomo non è «un accidente della natura», una delle innumerevoli specie animali di cui si compone il mondo . Per lui «l'apparire del potere di pensare segna una discontinuità di prim’ordine»[5]. Lo spirito non è assolutamente riducibile alla materia.

Ma l'evoluzione non si è arrestata con l’apparire del «fenomeno umano», essa non concerne solo il passato.

Come per gran parte della tradizione cristiana vi è, per Teilhard de Chardin, una armonia, una sorta di rispecchiamento tra il mondo naturale, il «macrocosmo», e l’uomo, il «microcosmo».

[risvolti etici]

Così egli legge, nella evoluzione della natura, una indicazione anche per il cammino dell’uomo. Tocca all’uomo compiere, ciò che la natura ha iniziato. Il progresso della storia perfeziona e porta a compimento il cammino iniziato con l’evoluzione [6].

Trova così un suo senso specifico lo scorrere del tempo e l’impegno del lavoro: nell’opera collettiva gli uomini collaborano «ad estrarre dal Mondo tutto ciò che il Mondo può contenere di verità e di energia»; «niente deve restare intentato nella direzione del più-essere»[7].

Ma l'impegno dell’umanità nella storia, nel mondo, non è solo obbedienza a Dio creatore della natura, ha anche un nesso intrinseco con la Redenzione, con l’Evento di Cristo.

Infatti come la nascita della «noosfera» — cioè dell'uomo e del suo mondo — è stata preparata, come condizione necessaria, benché non sufficiente («discontinuità nel continuo») dall’evoluzione della vita p. 47 animale verso una sempre maggior complessità, così anche la manifestazione escatologica del «Christus totus», del Cristo nella Sua raggiunta pienezza, dovrà essere preparata dalla piena attuazione delle potenzialità umane, condizione anche questa necessaria, ma non sufficiente.

«Perché il Cristo apparisse una prima volta sulla terra occorreva» — spiega Teilhard, riecheggiando un motivo caro ai Padri [8] — «che in conformità al processo generale dell’evoluzione, il tipo umano si trovasse (...) ad essere portato fino ad un certo grado di coscienza collettiva. Ciò posto, perché, facendo un altro passo, non immaginare che, anche nel caso della seconda e ultima venuta, il Cristo attenda per riapparire che la collettività umana sia infine divenuta capace, perché interamente compiuta nelle sue potenzialità naturali, di ricevere da Lui la consumazione soprannaturale?» [9].

Si vede allora quale sia il senso ultimo e definitivo della storia e dell'impegno nel mondo per Teilhard de Chardin. Come l’evoluzione naturale aveva il senso di una «noogenesi», convergendo verso l’uomo, così ora l’evoluzione storica, il cammino dell’umana civiltà sulla Terra ha il senso di una «Cristogenesi», convergendo, di fatto,verso Cristo, verso l’Eschaton cristiano.

Consapevoli o no, gli uomini, nel loro sforzo di progresso verso una «umanizzazione dell’umanità», concorrono a rendere il mondo sempre meno opaco e sempre più trasparente alla Presenza di Cristo, che per Teilhard lo sorregge e lo informa dal di dentro.

Gesù Cristo infatti è, nel pensiero del gesuita francese, sia il Fine, il Termine dell’Evoluzione, sia il Centro, il Cuore del Mondo.

Possiamo perciò capire le ripercussioni etiche del pensiero di Teilhard: ad una morale, che puntava prevalentemente sul distacco, sulla rinuncia, sull’indifferenza rispetto al Mondo e alla Storia, egli ritiene sia giunto il momento di sostituire un’etica che cerchi non tanto la propria perfezione, quanto il Cristo, il quale non è solo «al-di-sopra», ma anche «dentro» il Mondo, dentro cioè la verità delle cose.

«Un tempo essere distaccato significava disinteressarsi delle cose e non prenderne che il meno possibile. Essere disinteressato significherà sempre più superare successivamente ogni verità e ogni bellezza grazie p. 48 alla forza dell'amore che portiamo ad esse»[10].

Egli riscopre così, come spiega De Lubac, la sacramentalità del Mondo, nel cui cuore e nei cui eventi passa il Disegno di Dio, incentrato in Cristo: «Per Teilhard tutto in questo mondo, cose, avvenimenti, rapporti umani, ha un carattere sacramentale. (...) Per il cristiano che sappia guardare, nulla vi è al mondo che non riveli Dio (...) “punto ultimo” ove ogni cosa converge»[11].

È necessario a questo punto precisare alcuni temi, per meglio capire come la novità apportata da Teilhard de Chardin si integri in maniera ortodossa con la Tradizione Cattolica.

[sua piena ortodossia]

Abbiamo appena visto come l’attaccamento, che egli chiede al cristiano, verso il Mondo non sia edonismo o consumismo, proprio in quanto esso procede di pari passo con la coscienza della sacramentalità della creatura.

Ricordiamo ancora, a questo proposito, che l’azione, con cui l’umanità e i cristiani in particolare devono rendere il mondo sempre più umano, e quindi sempre più pronto a lasciar trasparire la Presenza di Cristo, non è certo da intendersi in senso prassistico e, tanto meno, prometeico.

Prevale, anzi, nella vita dell’uomo la «passività», cioè l’accettazione dell’intervento di Dio nella nostra vita, l’accoglienza del dono che Egli ci fa, in atteggiamento di fiducioso abbandono; e questo soprattutto di fronte agli ostacoli e alle sofferenze e di fronte a quell’Ostacolo totale, che è la morte: «Accettiamo di porci e di rimanere sotto “i bracci dominatori della Croce”»[12].

Un altro fraintendimento dell’autentico pensiero di Teilhard sul valore cristiano del mondo è accaduto, spiega De Lubac, a riguardo del male e della libertà.

Lo scienziato-teologo non condivideva certamente, per il fatto di credere nel valore della Storia, l'affermazione hegeliana per cui «la storia universale è il giudizio universale», il tribunale di se stessa, con la conseguenza che tutto ciò che accade è bene. Abbiamo distinto all’inizio i due significati del termine «mondo» e riteniamo, con De Lubac, che per Teilhard, come per la Tradizione Cattolica, ogni realtà è buona, ma non ogni azione umana lo è.

[ottimismo? No, pessimismo superato]

In particolare, De Lubac sottolinea come quello del confratello p. 49 gesuita, piuttosto che un ottimismo ingenuo, come a molti è apparso, a motivo della inesorabilità dell’Evoluzione verso il Punto Omega, il Cristo glorioso, è piuttosto un «pessimismo superato»[13].

Infatti per Teilhard de Chardin, nel medesimo tempo che l’Umanità progredisce verso il Pleroma escatologico, cresce, insieme con Coscienza e con Organizzazione, la possibilità di fare e di subire il male [14].

E non la speranza in una utopia politica, ma solo la Fede cristiana sa,per lui, dare un senso adeguato alla sofferenza, al male, alla morte; solo nel Cristo crocifisso tutto il male e tutto il dolore trovano un significato [15].

È vero che egli, spiega De Lubac, riteneva che il progresso fosse, in qualche modo, necessario; ma solo quello, collettivo e storico, della cultura e della tecnica. E questa, commenta De Lubac, è un’idea sicuramente discutibile, ma non certo eterodossa [16].

Non è invece affatto necessario, per Teilhard, il progresso della moralità degli uomini. O meglio si può ritenere che, con la conoscenza, andrà sempre più affinandosi anche la coscienza morale. Ma la capacità di scelta della singola persona resterà intatta, l’uomo potrà scegliere per il bene o per il male[17].

Di più, dopo una iniziale fase ottimistica, egli ipotizzò — analogamente a un Maritain — «che il Male, crescendo in pari tempo che il Bene, raggiunga alla fine il suo parossismo, anch’esso sotto forma specificamente nuova. Non vette senza abissi»[18].

Esplicita, del resto, è la sua affermazione dell’esistenza del diavolo, per opera del quale una parte del creato sarà esclusa dalla partecipazione all'amore di Dio, ed eternamente dannata [19].

[Teilhard, sincero credente]

Dato il limite che ci siamo posti per questo articolo, concernente il valore del Mondo, non esaminiamo qui altri temi, come quello della soprannaturalità e della gratuità delle Redenzione, ben lungi dall’essere un tassello della inarrestabilmente necessaria Evoluzione, o quello della personale umanità di Gesù Cristo, che viene riconosciuta pienamente p. 50 da Teilhard; temi che, pur interessanti e ampiamente sviluppati da De Lubac, esorbitano dall’argomento fissato. Quello che comunque emerge, dalla interpretazione di De Lubac è che in Teilhard la valorizzazione del Mondo non può essere disgiunta dalla netta affermazione della centralità di Cristo, Uomo-Dio, a differenza di quanto accade invece nei teologi «della secolarizzazione» o «della morte di Dio»: «Poiché il termine verso il quale si muove la terra è al di là, non soltanto da ciascuna cosa individuale, ma dall’insieme delle cose (...) il Mondo non può raggiungerVi infine, Signore, se non per una sorta di inversione, di capovolgimento, di discentramento (...). Perché il mio essere sia decisamente annesso al vostro, bisogna che muoia in me (...) il Mondo»[20].

[attualità della sua proposta]

Valore della realtà concreta, materiale, al tempo stesso che sua relatività al Valore assoluto, che è Dio. È un paradosso solo apparente, che vediamo del resto operante anche nella vita e nel pensiero di Giovanni Paolo II, nel quale vanno di pari passo l’affermazione netta e chiara che è il Cristianesimo soltanto a salvare l’uomo,e l’attenzione valorizzatrice dell’uomo nella sua concretezza e nei suoi bisogni.

Come è provato, del resto, dalla storia contemporanea: non è il materialismo ad amare veramente la materia, né il vitalismo promuove veramente la vita. Lo insegnano fin troppo eloquentemente i Lager nazisti e i Gulag sovietici.

È necessario però che il mondo cristiano riscopra sempre più la valenza umanizzatrice della Fede, implicata nel Mistero della Incarnazione del Verbo.

In questo senso, se letto con l’ottica giusta, come è — ci pare - quella di Henri De Lubac, anche il contributo di Pierre Teilhard de Chardin può essere uno stimolo interessante e fecondo.

p. 51

note


[1] J. Maritain, Per una filosofia della storia, tr. it. Morcelliana, Brescia 1977, pp.102.105.

[2] P. Teilhard de Chardin, Christologie et évolution, vol. X,ed. Du Seuil, Paris 1969, p. 111.

[3] Peraltro non pare che Teilhard de Chardin mirasse a una sintesi teologica. Forse, anzi, non intendeva nemmeno fare della teologia, nel senso vero e proprio del termine. La sua opera ci appare piuttosto, nell’ottica con cui De Lubac la presenta, una stimolazione culturale, dalle potenzialità molto ricche, ma che proprio per questo una sola persona non poteva portate a compiuta sistemazione.

[4] Citiamo le edizioni italiane: Il pensiero religioso del P. Teilhard de Chardin, Jaca Book, Milano 1983. La preghiera di P. Teilhard de Chardin, Morcelliana, Brescia 1965. Teilhard de Chardin - Lettere dall'Egitto 1905-1908, Morcelliana, Brescia 1966. Teilhard de Chardin, missionario del nostro tempo, Morcelliana,Brescia 1967. Teilhard de Chardin, Lettere da Hastings e da Parigi, Morcelliana, Brescia 1967. Corrispondenza di M. Blondel e P. Teilhard de Chardin, Borla, Torino 1968. Teilhard e il nostro tempo, Marietti, Torino 1969. L'eterno femminino, Marietti, Torino 1969. “Teilhard de Chardin nel contesto del rinnovamento”, in Teologia del rinnovamento, Cittadella, Assisi 1969.

[5] Il pens. rel., cit., pag. 101, nota3.

[6] Ibidem, pagg. 117-118.

[7] Ibidem, pag. 130.

[8] Cfr. Henri De Lubac, Cattolicismo, tr. it. Jaca Book, Milano, cap. 8°.

[9] Il pens. rel,, cit., pag. 166.

[10] Teilhard de Chardin, Christologie et évolution, cit.

[11] Pens. rel., p.40.

[12] Pens. rel.,cit., p. 42.

[13] Pens.rel., cit., p. 46.

[14] «Sì, più l'Uomo diviene uomo, più s’incrosta e si aggrava, nella sua carne, nei suoi nervi, nella sua mente, il problema del Male: del Male da capire, del Male da subire...» (cit. da H. De Lubac ne Il pens. rel., cit., p.49).

[15] Pens. rel., p. 206 e segg.

[16] Pens. rel., pp. 145-146.

[17] Ibidem,pp. 146-147.

[18] Pens.rel., p. 147.

[19] Ibidem, p. 151 e segg.

[20] Dall'Inno dell'Universo, “La Messa sul mondo”.